Alt. 88,5 larg. cm 110,58 prof. cm.58
Il mobile ha un impianto squadrato; poggia su quattro piedi tronco piramidali muniti di dado e mensola di raccordo e si conclude con un piano in breccia probabilmente non pertinente.
Sul fronte i tre cassetti, di cui il superiore sotto piano più sottile rispetto agli altri, sono fiancheggiati da lesene.
L’intarsio, che avvolge quasi per intero la struttura, si svolge su di una campitura di legno di rosa e violetto su cui sottili cornici rettilinee disegnano riserve geometriche, all’interno delle quali si dispiegano fregi con girali fogliati e serti fioriti. Al centro, all’interno di un ovato, intricati motivi fitomorfi fuoriescono da un vaso con alzata.

Pleonastico affermare che la bottega diretta da Giuseppe Maggiolini sita in Parabiago, fu il faro illuminante per tutta la pletora di ebanisti attivi sul finire del secolo diciottesimo e per buona parte del diciannovesimo.
La vasta produzione di questo “maestro”, considerato a buon diritto una delle punte di diamante della stagione neoclassica milanese, è stata motivo di indagine cui nel corso degli anni diversi studiosi del settore hanno dedicato svariate ed esaustive pubblicazioni.
Ho ritenuto perciò superfluo dilungarmi a proposito in questo mio breve scritto.
Ciò che emerge dagli studi ed appare evidente è che, in quel giro d’anni, la produzione dei modelli usciti dalla bottega di Parabiago fu ripetuta all’infinito - con infinite varianti.
Gli arredi licenziati dalla stessa, di raffinata esecuzione e di grande impatto visivo - i cui motivi decorativi il più delle volte erano eseguiti su disegni di illustri pittori- dovettero suscitare ammirazione da parte di una clientela "moderna" ed aggiornata.
Consequenziale fu una richiesta, quasi compulsiva, di questa tipologia di arredi da parte del mercato che, non riuscendo a soddisfare pienamente la crescente domanda, rese possibile il fiorire di numerose altre botteghe pronte ad accontentarla.
Milano, in quel periodo, era la città del Nord Italia più all’avanguardia in fatto di gusto; centro economico di punta, occupava una posizione eminente in quanto a produzione artistica, di cui deteneva il primato sia stilistico sia produttivo.
La città era inoltre circondata da un’ampia provincia che, anch’essa molto avanzata, poteva vantare una produzione artigianale assai vivace.
Le botteghe non erano più protette per giunta dalle normative delle Corporazioni, di conseguenza gli artigiani avevano la possibilità di esprimersi più liberamente rispetto al passato.
Alcuni svolsero il loro apprendistato presso la ormai celebre bottega di Parabiago, dove certamente poterono apprezzare la miriade di disegni preparatori utilizzati dall’illustre ebanista per i suoi intarsi; alcuni, maggiormente dotati, ci hanno consegnato opere degne di essere ricordate, altri sono stati solo emuli, autori mediocri di una produzione stanca e ripetitiva.
La commode, oggetto di questo mio scritto, ricalca, tanto nella struttura rigida e scatolare quanto nello schema utilizzato per la decorazione affidata all’intarsio, i soliti e ripetuti modelli in perfetta sintonia con tutta la produzione coeva neoclassica lombarda.
Nulla di nuovo dunque all’interno di questo panorama, ammettiamolo pure, un po’ monotono e prevedibile.
La commode faceva parte con ogni probabilità di una coppia.
La presunta gemella, già sul mercato antiquario, resa nota agli studi grazie alla mostra organizzata da “Di mano in mano” nel Novembre del 2020, la troviamo pubblicata sul catalogo redatto in occasione della suddetta mostra.
La scheda compilata da Enrico Sala titola così : “Un comò dalla ricca decorazione neoclassica” (attribuito al monogrammista G.B.M). (1)
Riguardo a questo criptico ebanista, che era solito firmare le sue opere con un monogramma, è bene invece spendere due parole.
Molti studiosi, nel corso degli anni, hanno consumato fiumi di inchiostro ed energie mentali con lo scopo di riuscire a decifrare la sigla senza fornire, però, attendibili e riscontrabili risposte.
Ad Alvar Gonzàlez Palacios si deve il merito di avere individuato per primo, all’interno del mare magnum della produzione neoclassica lombarda, otto opere riconducibili al nostro, un gruppo quindi omogeneo implementato ovviamente, in tempi successivi, grazie a nuove scoperte. (2)
Giuseppe Beretti, sulla scia di Palacios, ha dato seguito agli studi. Animato dal desiderio di decriptare l’oscuro monogramma, ha dedicato più di una pagina alla problematica bottega.
Inizialmente, lo studioso ha dichiarato di aver pensato, per un certo periodo, che la paternità dell'ormai numeroso corpus, potesse essere attribuita all’intarsiatore Gaspare Bassani da Milano.
Ipotesi quantomeno bizzarra, dal momento che l’unica opera ad oggi nota di questo artigiano è un tavolo da gioco, già in collezione Meli Lupi di Soragna, firmato e datato 1789, reso noto da Alvar Gonzàlez Palacios, che nulla condivide con la produzione della bottega GBM.
L’arcano è stato finalmente svelato grazie al restauro, avvenuto nella bottega Beretti, di un finimento comprendente due commodes, due comodini e un tavolino.
La fortuna ha voluto che, mentre su una delle commodes appariva il solito monogramma G.B.M, nell’altra si palesasse la firma per esteso “Io Giovanni Battista Maronus feci adì 23 Novembre 1797”.
In data 18 Aprile 2019 la mirabolante notizia è stata ufficialmente annunciata sul blog di Beretti all’interno di un articolo, “Il monogrammista G.B.M ovvero Giovan Battista Maroni”, a cui rimando i lettori che desiderino approfondire. (3)
Purtroppo, nonostante la mia insistenza, lo studioso non ha pubblicato, ne' in occasione di questo eccezionale ritrovamento ne' in altre sedi, l'immagine della commode cui si riferisce la famigerata firma.
Nessuna lesa maestà, si intende, ma temo che gli studiosi si dovranno accontentare della foto decontestualizzata del dettaglio e conseguentemente appellarsi alla propria personale facoltà immaginativa.
Ma l’ipotesi, per me, più seducente in quanto riguarda più da vicino la commode di cui mi sto occupando è quella che l’esperto ha avanzato, nel 2005, riguardo alla coppia di commodes site presso le Civiche Raccolte d’Arte di Monza. (4)
Riporto di seguito il testo : Il confronto stilistico e tecnico esecutivo, dei fusti come pure degli specimen dell’intarsio, con altri mobili siglati G.B.M ben presenti in archivio, ci permette di ricondurli con assoluta certezza all’opera dell’officina del nostro ignoto monogrammista G.B.M .
Considero l’affermazione senza dubbio accattivante ma, una tale asserzione da definirsi, senza mezza termini, tassativa, non può esimersi dal ricoprire un ruolo importante nell’avere certamente influenzato alcune attribuzioni di successivi studiosi.
Mi spiego meglio.
E’ del tutto ovvio e logico che molto spesso, in mancanza di dati certi, (archivi o mobili autografi), non resta agli addetti ai lavori che procedere per confronti, similitudini e assonanze; uno fra i molti, Andrea Bardelli, ha dedicato svariati studi, soprattutto ad arredi provenienti da area lombarda, con il preciso scopo di creare gruppi omogenei riferibili a specifiche botteghe.
In un articolo uscito sul suo sito web, ci ha consegnato un’esauriente rassegna di comò transitati sul mercato che hanno in comune “la medesima impostazione per quanto riguarda le riquadrature, la disposizione della lastronatura e quella dei decori”. (5)
Nel suo lavoro, utile ed ammirevole, Bardelli non dimentica di citare l’ipotesi di attribuzione di Beretti alla bottega GBM, alias Giovan Battista Maroni.
Il metodo del confronto, ormai usuale, è stato evidentemente adottato anche da Sala al momento della stesura della sua scheda cui ho accennato poco sopra.
L’antiquario non esita infatti, grazie al suggerimento di Beretti, ad attribuire la sua commode a Giovan Battista Maroni.
Gli studiosi del settore, devono purtroppo misurarsi con una realtà, mi riferisco a quella di fine settecento a Milano, vasta ed articolata. Costretti ad operare su un terreno scivoloso e ingannevole, si sono spesso sbilanciati in congetture a volte avventate e, talvolta, audaci.
Le decine di botteghe e i molteplici interpreti che ben intesero le istanze di Maggiolini, producendo versioni innumerevoli e ripetitive di un modello di successo, hanno contribuito a rendere il panorama fluido e variegato, complicando spesso il risultato delle indagini.
Molte, quindi, sono state le supposizioni da parte di noi studiosi, poche però le certezze.
L’atelier GBM è certamente uno dei più complessi, avendo licenziato mobili assi diversi tra loro: si pensi alla commode apparsa sul mercato datata e firmata GBM, pubblicata dallo stesso Sala, che nulla ha a che vedere con la produzione che tutti noi siamo soliti attribuirgli. (6)
Penso inoltre alle quattro commodes e al secretaire, conservati presso la Maison Bonaparte di Ajaccio, la cui paternità, secondo Beretti, sarebbe da attribuire a Giovan Battista Maroni, che, l’ormai svelato ebanista, avrebbe eseguito su disegno di Agostino Gerli. (7)
La scoperta della commode, oggetto del mio studio, se da un lato aprirà uno spiraglio di luce all’interno di questo panorama fuliginoso, dall’altro provocherà certamente un rumoroso scompiglio.
Se avessi ascoltato anch’io il suggerimento di Beretti, se mi fossi affidata al metodo della "somiglianza", avrei indubbiamente avanzato l’ipotesi di una probabile attribuzione alla bottega GBM e sarei caduta in errore. (8)
Anche in questo caso la dea Fortuna ci è venuta però in aiuto.
Apparsa recentemente sul mercato, Asta Wannenes 25-26 Novembre 2021 cat. n.277,
lotto 473, è stata attribuita, nel rispetto di tutte le aspettative, alla rinomata bottega GBM;
proposta del tutto logica e in linea con gli studi fin qui eseguiti nell'ambito dei modelli di matrice maggioliniana.
Questo prima che Mauro Tajocchi, responsabile del Dipartimento Arredi Antichi presso la stimata casa d’asta, rinvenisse a catalogo già editato un’iscrizione eseguita ad inchiostro, molto ben nascosta nel fondo della commode e affatto visibile in prima battuta che, seppur molto abrasa, ci mostrava data e firma dell’esecutore dell’opera:
1787 a 17 Marzo Ferdinando Dardanone ai Servi Milano

Di questo ebanista, ad oggi, si conosce solamente una commode passata sul mercato antiquario, (Mostra Antiquaria Gotha, Parma 2014, esposta da Capozzi Antichità Genova), oggi in collezione privata, di cui Roberto Antonetto ha compilato una scheda esauriente.
Sotto il piano di marmo, sulla struttura lignea è presente una scritta a penna purtroppo in alcuni punti abrasa che recita:
1780 De 18 xebre Si fano Nella fabricha / di Ferdinando Dardanone / Merchante di Mobilli sul / Cantone di S.Pietro al orto / In porta orientale vicino à S. M.ia / de Servi In Milano al No 609 Gilardo Arosio Giovine / di Botega del So. o Sa. (?) N...o M….(?).

Si evince dunque che Ferdinando Dardanone era impegnato in una duplice attività: non solo era a capo di una bottega vicino a S. Maria dei Servi a Milano ma era anche dedito al commercio di mobili. Chi fosse però Gilardo Arosio giovine di bottega non è dato sapere perchè la scritta in quel punto risulta illeggibile.
Roberto Antonetto rende noto, grazie ai suoi approfondimenti, che l’ebanista potrebbe essere un discendente di Gaetano Dardanone (1688-1757), pittore milanese, o del fratello Antonio. (9)
La commode risulta senza dubbio interessante non soltanto in quanto dotata di firma e data, dettaglio ovviamente non trascurabile, ma anche per l’impianto e per l’apparato decorativo.
L’ebanista, pur mantenendo la consueta forma a parallelepipedo, restando quindi fedele al dictat neoclassico è riuscito, grazie ad un gioco di svariate cornici ed elementi in aggetto, a creare diversi piani rendendo la struttura più articolata e, in tal modo, il mobile più vibrante ed attraente.
Il programma decorativo realizzato in legni chiari, bosso e acero, spicca su di uno sfondo in palissandri creando un evidente contrasto cromatico. La mano dell’intarsiatore appare abile, in alcuni tratti l’ombreggiatura delle tessere ben eseguita, fa risaltare la profondità del disegno.
Penso sia lecito supporre che Dardanone fosse uno dei tanti seguaci di Maggiolini; lo immagino frequentatore del laboratorio dove, oltre ad aver esercitato l’arte dell’intarsio, avrà avuto modo di ammirare i molteplici disegni conservati nella bottega del maestro.
Infatti l’idea compositiva del fronte riecheggia, a mio avviso in versione molto semplificata, il disegno del comò realizzato per il Duca di Modena, conservato oggi nella Palazzina di Stupinigi. (10)
Niente di tutto ciò possiede la commode oggetto di questa mia breve scheda, molto simile nell’impianto e nella decorazione alle tante passate sul mercato.
L’arredo eseguito, probabilmente, per accontentare una clientela poco pretenziosa e, soprattutto, non troppo facoltosa, esprime la propria unicità nel possedere l’autografo dell’ebanista.
Scopo delle mie pagine è quello appunto di rendere noto alla critica questo recente e fortuito ritrovamento che, come ho già anticipato, potrebbe dar adito a nuove ipotesi di lavoro in quanto la ricerca si rinnova e si amplia grazie a continue scoperte.
Colgo occasione, a questo punto, per una breve riflessione: paragonare un mobile ad un altro è a volte il solo metodo che abbiamo a disposizione in mancanza di documenti, unica fonte certa, ma la somiglianza tra due arredi non implica necessariamente che l’artigiano sia lo stesso; congetture avventate ed interpretazioni personali, spesso fallaci, possono nuocere all’avanzamento degli studi.
Vorrei concludere riportando un pensiero di Alvar Gonzàlez Palacios che ha sempre colpito la mia attenzione e al quale ho sempre cercato di restar fedele nel corso delle mie ricerche:
“Ogni paragone andrebbe meditato a lungo: non si può confrontare un lavoro che si studia con un altro lavoro sul quale non abbiamo informazioni certe, altrimenti si rischia di fare ciò che spesso si fa in questo campo: attribuzione basata su attribuzione, incertezza su incertezza, castelli in aria.
Note
1) Enrico Sala, Giuseppe Beretti, Alessandro Wegher, Valentina Simone Maggiolini & Co. Il successo dell’intarsio neoclassico nella Milano napoleonica, Milano, Anticonline, Novembre 2020 pag 38
2) Alvar Gonzalez- Palacios Il gusto dei Principi, Milano, Longanesi, 1993. Vol. I pag 345. Vol II pag 307
3) giuseppeberetti.com 18 Aprile 2019
4) Giuseppe Beretti, Laboratorio, Contributi alla storia del mobile neoclassico milanese, Milano, Inlimine 2005, pag 925) Andrea Bardelli, Antiqua.mi, Cassettoni neoclassici lombardi con lesena a cornucopia, Settembre 2019.
5) Andrea Bardelli, Cassettoni neoclassici lombardi con lesena a cornucopia in Antiqua nuova serie Settembre 2019.
6) Enrico Sala, Giuseppe Beretti, Alessandro Wegher, Valentina Simone Maggiolini & Co. Il successo dell’intarsio neoclassico nella Milano napoleonica, Milano, Anticonline, Novembre 2020 pag 35
Alvar Gonzalez- Palacios Il tempio del gusto , Il Granducato di Toscana e gli Stati Settentrionali Milano, Longanesi, 1986, tomo I pag 255
7) Giuseppe Beretti, Joseph Fesch et yes meubles milanesi de Giovanni Battista Maroni in Catalogue Maison Bonaparte Le mobilier en Corse au temps des Bonaparte Albiana 2018 pp. 44-52
8) Giuseppe Beretti, Laboratorio, Contributi alla storia del mobile neoclassico milanese, Milano, Inlimine 2005, pag 92
9) Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, Vol. 32, p. 775-777; Allgemeines Künstler- Lexicon , Vol. 24, p. 262; E. Benézit, Dictionnaire critique et documentaire des peintres sculpteurs dessinateurs et graveurs, Gründ 1999, Vol. 4, p. 245 ; U. Thieme, F. Becker, Allgemeines Lexicon der Bildenden Künstler, Leipzig 1913, Vol. VIII, p. 396
10) Giuseppe Beretti, Alvar Gonzalez-Palacios con la collaborazione di Luca Melegati Strada e Roberto Valeriani, Giuseppe Maggiolini Catalogo ragionato dei disegni, Milano, Inlimine 2014, pag 336 tav F2
11) Alvar Gonzalez-Palacios, Il gusto dei Principi, Milano, Longanesi, 1993, pag 345
Ringraziamenti
Sono grata all'amico Mauro Tajocchi per avermi offerto questa grandiosa opportunità
a Roberto Antonetto per gli utili confronti e le immancabili chiaccherate
a Rita Aliboni per i sempre utili suggerimenti e il grande appoggio
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Ottimo e utile approfondimento!!!