La fase dell’esistenza di Palazzo Pallavicini-Carrega, afferente alle opere oggetto della nostra disamina, riguarda il periodo che segue l’acquisto del suddetto da parte della famiglia Carrega nel 1704.
In effetti, a seguito di questo evento, la struttura originale presentataci da Pietro Paolo Rubens (1577-1640), [1] vive importanti interventi di ristrutturazione e ampliamento cui, come emerge dal prospetto realizzato nel XVIII sec. da Martin Pierre Gauthier (1790-1855), [2] si devono la cappella e la galleria dorata (1740).
La Galleria dorata, a pianta rettangolare, misura 5 metri per 12 circa. La percezione che trasmette l’ambiente è di un accecante bagliore provocato dalla lucentezza dei rivestimenti dorati che ricoprono quasi interamente la superficie, a foderare stucchi e legni. La presenza di spazi specchiati, di vetri, di luci filtranti dalle numerose finestre, ne amplifica l'effetto rendendo l'atmosfera ancora più abbagliante e abbacinante. Il progetto d'insieme dell'ambiente viene tradizionalmente attribuito all'abate Lorenzo De Ferrari, (1680-1744) artista e pittore, figlio del celeberrimo Gregorio, uno dei più importanti pittori genovesi di epoca barocca. [3]
L'intento di celebrare la grandezza della dinastia dei committenti venne dunque assolto da De Ferrari che, all'uopo, propose sulla volta del soffitto, sulle lunette laterali e sui medaglioni e soprapporte, il tema mitologico delle Storie di Enea, rese con affreschi in accesa policromia.
L'ornato in stucco, che divenne moda e, come tale, accolta con entusiasmo dalle più colte ed aggiornate committenze, si impone con prepotenza, scandisce l'impaginazione della volta affrescata in magnifico accordo e riveste le pareti con esuberanza quasi ossessiva; unico respiro ed intervallo, l'apertura delle porte finestre e dei trumeau.
Ancora una volta, grazie alla diffusione dei modelli a stampa di origine franco-tedesca, i progetti di Oppenord, Cuvilles ed altri insigni architetti, trovarono realizzazione grazie all’opera di stuccatori, per lo più maestri “migranti” intelvesi, attivi in gran parte d’Europa soprattutto nell'area geografica compresa tra Austria, Germania e Boemia nel corso del XVIII sec.
Anche la Superba, attraverso le committenze di un’aristocrazia illuminata, (vedi ad esempio i Durazzo e gli Spinola) e particolarmente attenta ed informata nonostante l’assenza di una corte imperante, non rimase insensibile a questa nuova tendenza di gusto, avvalendosi anch’essa di maestranze intelvesi per la realizzazione di decorazioni in stucco durante i lavori di ammodernamento dei suoi palazzi.
I cantieri di Giovan Battista Barberini e di Diego Francesco Carlone sono quelli che la documentazione, sia storiografica sia archivistica, riporta come protagonisti sulla scena genovese per la realizzazione di apparati decorativi basati sulla plastica in stucco. Proveniente dalla valle dei laghi, il Carlone svolse la sua attività tra Austria, Germania e Svizzera, artefice di decorazioni in diverse residenze quali la Galleria del Castello di Ludwigsburg e fondazioni abbaziali. Al volgere della vita venne accolto da Genova dove tra l’altro portò a compimento le 12 statue della Basilica di N.S Assunta di Carignano.
Pur non essendoci un supporto documentario, è innegabile l’evidente assonanza tra l'apparato decorativo della galleria di Ludwigsburg e quello della Galleria Carrega, ideata in quegli anni di rinnovamento, durante i quali, sicuramente e non a caso, è attestata a Genova la presenza di Carlone che avrebbe permesso all’artista di affiancare il De Ferrari nella realizzazione del suo progetto in virtù di un'attività corale orchestrata da eccellenti maestranze di ebanisti, intagliatori e scultori.
L'intero apparato decorativo è improntato ad evidenziare un unico grande tema ravvisabile in un vero e proprio elogio al mare, origine della potenza genovese. Così incontriamo putti che reggono conchiglie, delfini ed erme femminili a mo' di polene ospitati dagli stucchi, che incorniciano gli specchi, o sirene adagiate sui dossali dei divani.
A tal sorprendente apparato decorativo appartenevano ovviamente anche gli arredi mobili magistralmente inseriti in questo unicum compositivo assolutamente coerente e di ampio respiro internazionale. I divani in numero di quattro erano collocati sotto i trumeau nei lati lunghi della sala, i due tavoli parietali trovavano posto fra le porte specchiate nei lati brevi e le 18 sedie ad occupare gli spazi vuoti lungo le pareti.
Oggi purtroppo la galleria ci appare totalmente spoglia dei suoi finimenti originali. Nel tardo XIX sec., infatti, l'architetto Stanford White acquistò direttamente dal Palazzo l'intero contenuto della Galleria e lo vendette, ad esclusione di due paia di porte che tenne per sé, a William Collins Whitney (1841-1904), personaggio di spicco del partito democratico americano. Una fotografia della sala da ballo, al secondo piano del suo palazzo sulla quinta strada risalente al 1924, mostra in situ gli arredi Carrega tra cui i divani, purtroppo, per esigenze pratiche modificati nella lunghezza per meglio adattarsi alle maggiori dimensioni della nuova sistemazione.
Dalla collezione Whitney, i divani, menomati e quindi privati dell'originaria armonia ed eleganza, passarono a quella del Conte Volpi di Misurata per essere, infine, venduti all'incanto da Sotheby's Londra, rispettivamente Asta Dicembre 2009 e 6 Luglio 2011.
Le porte con fondo in specchio, impreziosite da intagli dorati si trovano oggi al Metropolitan Museum of Art di New York. I tavoli parietali già illustrati da Morazzoni, al Toledo Museum of Art nell'Ohio, USA.
Le 18 sedute, numero che potrebbe risultare alquanto improbabile in relazione alle modeste dimensioni della galleria, dalla collezione Whitney passarono alla collezione Patino, di poi dalla Galleria Didier Aaron di Parigi, alla collezione St. Laurent e Bergè ed infine battute all'Asta Christhie's, 25 febbraio 2009.
I suddetti arredi si connotano oltre che per l'eccezionalità inventiva del progetto d'insieme, scaturito come si è evidenziato dalla mente di De Ferrari, per l'alta qualità esecutiva dell'intaglio.
Ciò non deve apparire sorprendente in quanto, come rileva Alvar Gonzalez Palacios, il maggior contributo che i genovesi diedero all'arte della mobilia fu proprio la maestrìa dell’intaglio.
Le origini di tanta maestria vanno ricercate forse nell'abilità dei maestri d'ascia che, da tempi immemorabili, varavano imbarcazioni abbellite da polene scultoree sulle prue e decorazioni lignee in ogni dove.
L'universo marino, frequentato da tritoni, sirene, putti che suonano conchiglie, un repertorio assai caro alla plastica scultorea genovese, desunto certamente dal Barocco romano di ascendenza berniniana, è assai ben rappresentato nei disegni dei Piola e, nella messa in opera, nelle creazioni di Filippo Parodi.
Certamente poche dovevano essere le botteghe in grado di raggiungere un così alto livello di qualità ed abilità esecutiva, considerata l'estensione moderatamente esigua della Genova dell'epoca.
Un contesto cosmopolita, dunque, all'interno del quale non poteva mancare la Francia che con la sua prepotente presenza propone sfingi alate, draghi, cartigli, teste medusine, derivate dai più aggiornati disegni della Parigi di epoca Reggenza, che realizzati con grande profusione negli arredi di quest’epoca, ritroviamo nella galleria, resi nell'intaglio dorato dei tavoli parietali, delle sedute ed applicati sui fondi specchiati delle quattro porte.
Così come la resa delle dorature che, per sopperire alla mancanza dei costosi bronzi dorati, diffusi con tanta generosità sulla mobilia parigina, si affida all’utilizzo del legno, abilmente intagliato che produce un effetto altrettanto scintillante e metallico.
Purtroppo i documenti non ci hanno ad oggi restituito i nomi degli intagliatori, scultori e doratori, tutti anonime eccellenze, che riuscirono a realizzare questi arredi grazie alla regìa progettuale di De Ferrari, il quale assolutamente informato dei modelli d'Oltralpe li ha resi degni di essere menzionati nel novero delle migliori creazioni del XVIII sec. di ambito europeo.
Nonostante politicamente decaduta, nonostante avesse perduto la propria autonomia, Genova contava tuttavia famiglie facoltose che, ancora detentrici di ingenti patrimoni, con i loro agenti all'estero, poterono permettersi nel corso del secolo di ristrutturare i loro palazzi. Questi furono dunque concepiti con l'idea di gareggiare nell'ambito di un gusto assolutamente internazionale, attraverso la realizzazione di ambienti che pur non raggiungendo la grandiosità dei grandi palazzi reali potessero, comunque, confrontarsi con essi in quanto a raffinatezza e qualità.
Non dimentichiamo a tal proposito la Galleria degli Specchi di Palazzo Durazzo, ideata dal grande Parodi che veramente poco ha da invidiare, a nostro avviso, alla Gallerie de Glass di Versailles dalla quale certamente trasse ispirazione. Stupefacenti magnificenze, dunque, frutto di quell'inesauribile e mai sopito desiderio di un patriziato altero e “superbo” che, nonostante la proverbiale parsimonia, volle ad ogni costo sentirsi europeo.
Bibliografia
Alvar Gonzales Palacios, I mobile in Liguria Ed Sagep Genova 1996
Alvar Gonzales Palacios Il tempio del Gusto Ed Longanesi Milano
Cristina Bartolini- Gianni Bozzo- Elena Manara Genova Palazzo Carrega Cataldi Camera di Commercio Ed Sagep Genova 2000
Ezia Gavazza Genova opere, artisti, committenti,collezionisti e l'Europa continentale a cura di Pietro Boccardo e Clario Di Fabio Ed Fondazione Carige 2004 e Silvana Editoriale S.p.a 2004
Note
[1] P.P Rubens, “Palazzi di Genova”, Anversa-1622
[2] MP. Gauthier “ Le plus beaux edifices de la ville de Genes et de ses environs Deuxieme Partie”, Parigi P. Didot, 1832
[3] Carlo Giuseppe Ratti (1737 1795), "Storia di pittori scultori et architetti liguri e di forestieri che in Genova operarono” riporta: "L'ultima opera che facesse il Ferrari fu veramente sopra le altre speciosa, ed illustre......a farla comparire tale vi concorrono gli arabeschi, gli stucchi, gli intagli, ed altri ornamenti tutti fatti con la direzione del nostro artefice".
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Io ho 2 sedie dorate della suddetta galleria con tanto di bollino inventario